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Daniela Lupi
Attraverso calde ed intense pennellate, fenomeni naturali e moti d'animo si intrecciano per diventare un tutt'uno nelle tele.

Guizzi in peschiera

L'opera dal titolo "Guizzi in peschiera" di Daniela Lupi fa parte di una nuova serie di opere dedicata ai paesaggi marini.

L'artista non cerca il consenso ad ogni costo, ma il giusto riconoscimento al suo osservare e dipingere la natura, il mondo che ci "ospita" esibendo visioni di luoghi non ancora deturpati dall'invadenza deleteria di una umanità tesa alla conquista del superfluo.

Daniela Lupi è un artista di profonda sensibilità, si dedica con animata passione e raffinata bellezza a trasformare in colore le proprie emozioni realizzando opere dalle tonalità calde ed allo stesso tempo piene di luce, che spesso aiutano a sognare.

Informazioni aggiuntive

Altezza

120

Larghezza

100

Tecnica

Acrilico su tela

Tipo edizione

Opera unica

Altre opere di
Il fil bleu di Daniela Lupi Artista campana profondamente legata al proprio entroterra culturale e dalla carriera artistica oramai consolidata, Daniela Lupi ci sorprende con una svolta artistica che, fin da un primo e sommario colpo d'occhio, rivela tutte le proprie potenzialità. La figura umana, infatti, che aveva detenuto un primato indiscusso nelle coppie di ballerini del 2012/2013, viene trascurata a tutto vantaggio degli scorci marini e di quelli rurali, rivisitati in una chiave formale personalissima e "tattile", debitrice della sua attività collaterale di scultrice. La nostra attenzione viene catturata dalla forza delle sue pennellate; queste esprimono sia i fenomeni naturali che i suoi moti d'animo e si intrecciano diventando un tutt'uno nelle tele. Il linguaggio dell'artista è in fase di definizione; il colore traspare con altrettanto impeto nella riproduzione di un dato reale che si affida ad una semplificazione assoluta e suggestiva. Se mi si chiedesse di condensare in poche parole l'evoluzione artistica da lei approntata negli ultimi tempi, non esiterei a parlare di una strategia formale che procede per "sottrazione" e per "alleggerimento". Questa è imputabile, nello specifico, al superamento di una figuratività declinata dapprima secondo il dettato impressionista e, poi, attraverso svariate composizioni floreali e i già ricordati gruppi coreografici e musicali. A dispetto di questa sterzata radicale, persiste a mio avviso un leitmotiv tutt'altro che marginale in una pittrice che ha eletto la luce e il colore intenso, materico, "tangibile" a cardini imprescindibili della propria poetica. Parliamo del blu che, come lei stessa ha espressamente dichiarato in un'intervista, simboleggia la «forza evocativa di tutte le espressioni vitali. Sfumarlo, concentrarlo, misurarlo, stenderlo. Non mi serve più la tavolozza.»1 Una tinta che, specie in rapporto alle sperimentazioni più recenti, dispiega le sue potenzialità espressive attraverso molteplici tocchi: da quelli più sfrangiati, dinamici e impressionisti di "Giuncheto", a quelli quasi cotonosi, brumosi, di "Paesaggio cilestrino", di "Fuori città" e di "Sponde". E' questo trattamento sapiente e viscerale di tali costituenti della sua arte, ad armonizzare le composizioni e compensare la momentanea rinuncia della Lupi al figurativismo più accademico, proteggendola così dagli eventuali contraccolpi imputabili alla metamorfosi della sua pittura sotto il segno del blu. Quest'ultimo, nel suo essere (come ricordavamo prima) una "forza evocativa" così potente, intercetta più o meno consapevolmente l'insegnamento di Yves Klein in rapporto al pigmento come propulsore espressivo e concettuale per eccellenza in arte. Ma non dobbiamo dimenticare che, accanto a quest'ultima accezione, se ne distingue un'altra di sapore strettamente biografico, che lo interpreta come espressione trasfiguarata di Napoli, sua terra natìa e del Mediterraneo per esteso, col suo spettro irriducibile di turchesi e azzurri tra cielo e mare. La capacità della pittrice di far affiorare il paesaggio da una nebulosa di viola, lillà, neri, verdi, di evocarlo senza mai restituircelo con esattezza fotografica come in un bassorilievo appena abbozzato, chiama anche direttamente in causa lo spettatore. Questi, non solo si affida alla "vista" per l'identificazione dei vari elementi, ma sarebbe persino tentato di sfiorare le superfici delle tele ed immergervisi, a tal punto queste appaiono sature di una nuance che quasi scolpisce, modella, orchestra l'intera opera. Non mi sembra pertanto azzardato, in ultima istanza, leggere la triade cromatismo "tattile"- pennellata paesaggio (sia esso marino piuttosto che rurale) come un nuovo lessico poetico che si serve proprio del secondo di questi elementi (la pennellata appunto) per ritmarne le composizioni, dotandole della necessaria suggestione con un andamento dinamico e sfilacciato, oppure riconsegnandole al silenzio e ad una rinnovata calma contemplativa, quando la stesura del colore procede per campiture ampie e uniformi. Vera Pitzalis
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